"Chinatown today". Schizofrenia nell'editoria multiculturale italiana
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La rivolta della comunità cinese in via Paolo Sarpi a Milano il 12 aprile 2007 ha prodotto una frattura sociale tale da suscitare un interessamento sia dei media tradizionali, voci istituzionali, sia dei media minori, locali e diasporici. La necessità di tematizzare un evento traumatico inconsueto e inaspettato, almeno per quanto riguarda la cittadinanza milanese, ha palesato diverse posture enunciazionali all’interno delle trattazioni offerte dai media. In mezzo alla polifonia di tutte queste voci, si è assistito alla nascita di un prodotto informativo “ibrido” che manifesta tutta la schizofrenia divulgativa che ruota intorno alle tematiche della migrazione, soprattutto da un punto di vista contenutistico e linguistico. Il notiziario bilingue Chinatown Today non rappresenta una voce fuori dal coro, anzi diventa il paradigma per comprendere alcune dinamiche in gioco nel panorama dell’editoria multiculturale o comunitaria. L’interesse perfino dei grandi editori e degli inserzionisti nei confronti di nuovi prodotti mediali multiculturali, e il tentativo consecutivo di appropriarsene all’interno delle grandi testate attraverso un attento lavoro di rimediazione linguistica ed estetica, segna una nuova tendenza in atto nella produzione giornalistica finalizzata alla fidelizzazione di nuovi pubblici presenti sul territorio italiano: i migranti. Il paradigma in realtà disvela qualcosa di più profondo. La rinuncia della comunità Cinese di Milano al dialogo con le istituzioni si traduce in assenza di forme di auto-rappresentazione della comunità stessa. L’evento traumatico avvenuto nel quadrivio milanese ha imposto ai migranti, come di consueto, una presa di posizione dialogica per instaurare un canale di comunicazione conciliante, ma soprattutto in grado di rassicurare la cittadinanza autoctona. La peculiarità del carattere cinese porta alla rinuncia all’istanza di auto-rappresentazione, cioè di una identificazione che parta dal dentro. Davanti al rifiuto di raccontarsi, le istituzioni italiane dispiegano una serie di dispositivi mediali in grado di colmare una deficienza strutturale della società. Così Chinatown Today, sotto le mentite spoglie del notiziario etnico, si infiltra negli anfratti della comunità con la pretesa di restituire al pubblico una narrazione “in prima persona” del microcosmo di Chinatown. L’operazione discorsiva del prodotto mediale risulta viziata da un uso delle grammatiche affini a un certo tipo di produzione multiculturale, che stridono cacofonicamente con i contenuti contaminati da una prospettiva etnocentrica. L’articolo, dopo un breve excursus teoretico sullo sviluppo di nuovi oggetti sociali nel mediascape contemporaneo, quali i media diasporici e i media multiculturali, analizza il tentativo mistificante di una voce semi-istituzionale che vuole ripristinare un dialogo tra la comunità cinese e le istituzioni milanesi dopo la frattura, ossia il tentativo di risolvere un curiosa anomalia che ostruisce la via della pacificazione. In realtà, l’artificiosità di un’“auto”-narrazione, proveniente dal basso, amplifica problematiche a tutt’oggi irrisolte. Nella sua pochezza contenutistica, Chinatown Today risponde al tentativo di una mediazione mediatizzata del conflitto, una diplomazia attraverso il video, dove il medium diventa il messaggio, sì, ma di riconciliazione apparente: il paciere in grado di ristabilire una “tranquilla percezione” della realtà di via Paolo Sarpi.
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