Numero due di "Comunicazioni Sociali on-line", pubblicato nel 2009 dalla rivista "Comunicazioni Sociali" e curato dal Dottorato di ricerca in Culture della Comunicazione, Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo.
SOMMARIO
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È difficile pensare un evento collettivo più mediatizzato delle elezioni; ed è difficile pensare un evento in cui il rapporto tra politica e media emerga con maggior evidenza che nel processo elettorale. Ecco perché abbiamo scelto di dedicare questo secondo numero di Comunicazioni Sociali on-line a “Il candidato”: per cogliere il rapporto tra i media e la politica non in astratto ma nel suo farsi, all’interno di alcuni snodi fondamentali tanto politici quanto mediali.
PARTE 1. AZIONI
di Paolo Carelli, Simone Carlo
pagine: 13
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Con la crescente mediatizzazione della politica, da un lato, e con le diverse riforme dei sistemi elettorali e dei meccanismi istituzionali, dall’altro, la centralità del candidato nelle competizioni elettorali delle democrazie occidentali è andata gradualmente aumentando fino ad assumere una funzione strategica e modificando in profondità il rapporto tra il cittadino e la politica. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, anche in Italia si assiste all’avvio di una fase di personalizzazione della politica, in cui «al centro delle campagne stanno i candidati che diventano progressivamente più rilevanti delle organizzazioni cui sono legati». Si tratta di un fenomeno che va sotto il nome di «personalizzazione della rappresentanza politica»e che ha cominciato ad affacciarsi in Europa nel momento in cui la commercializzazione del sistema televisivo ha incontrato, combinandosi, la crisi e il declino dei partiti di massa e del rispettivo impianto ideologico. Questa personalizzazione della politica ha influito notevolmente sia sul sistema dei partiti, «a partire dalla selezione della classe politica», sia sul sistema della cittadinanza, con il voto ideologico d’appartenenza sostituito da un voto d’opinione e di scambio. La diminuzione del peso dei partiti nel delineare gli orientamenti di voto e la tendenza dei media a presentare la politica nei suoi aspetti di maggiore spettacolarizzazione, contrapposizione e polarizzazione, hanno spostato l’attenzione verso un complesso sistema di valori, competenze, qualità tecniche e morali, che nel loro insieme definiscono l’immagine complessiva del candidato.
di Claudia Giocondo
pagine: 11
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L’estesa mediatizzazione della scena politica tende sempre più a proporre personaggi pubblici non solo nelle loro vesti ufficiali ma anche in quelle più intime e casalinghe. Il confine tra ciò che appartiene di diritto alla sfera pubblica e ciò che invece è preservato da quella privata diviene assai labile e relativo, per la stessa gestione che i politici ne fanno, continuamente protesi alla conquista di nuovi spazi di visibilità. Accade però che uno scarso controllo o un basso livello di attenzione alle molteplici espressioni del corpo del leader, causato dall’invadenza crescente del medium, contribuisce ad aumentarne la vulnerabilità fino a mettere in crisi un’intera strategia comunicativa. Gaffe e scandali hanno quindi il potere di interferire nel campo politico compromettendo il percorso di un candidato, tanto da poterne causare, talvolta, la stessa destituzione. Ogni giorno i mezzi di informazione ci raccontano come cambia il modo in cui i politici comunicano ai cittadini, attraverso quali vesti, quali episodi, quale linguaggio, mettendo in evidenza una nuova soglia di accesso del gossip ai temi in agenda. Si assiste a una costruzione della “messa in scena” che però mostra tutta la sua fragilità, per la difficoltà manifesta dei suoi protagonisti nel saper gestire efficacemente la propria privacy rispetto alla continua estensione dello spazio pubblico, limite a volte impercettibile o semplicemente sottovalutato. Una proposta politica non si ferma infatti al partito o al candidato, raccontato attraverso il suo percorso istituzionale, ma tende sempre più a presentare l’uomo, con le sue fragilità e la sua esperienza di vita, al fine di raggiungere livelli impensati di prossimità con l’elettore.
di Lorenzo Ugolini
pagine: 13
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La sera di domenica 21 aprile 2002 la Francia fu scossa da un evento totalmente inatteso e per molti versi traumatico. Quel giorno si votava per il primo turno delle elezioni presidenziali, e alle ore 20.00 in punto i francesi scoprirono attraverso le principali testate giornalistiche televisive che lo scontro al secondo turno, previsto per il 5 maggio, avrebbe visto opposti il presidente uscente Jacques Chirac e il leader del Front National Jean-Marie Le Pen: per la prima volta, un candidato dell’estrema destra riusciva a superare il primo turno e ad accedere al ballottaggio. Il grande escluso era Lionel Jospin, Primo Ministro uscente e candidato, per la seconda volta, del Partito Socialista Francese. Jospin, che aveva avuto nel corso della campagna elettorale il conforto dei sondaggi, i quali fino all’ultimo non mettevano minimamente in discussione il suo eventuale passaggio al secondo turno1, fin dalle primissime ore successive all’annuncio dei risultati chiese al suo elettorato di compattarsi intorno a Jacques Chirac contro l’avanzata dell’estremismo, e nel contempo annunciò il suo ritiro dalla vita politica. Dopo sette soli anni dalla fine dei due mandati di François Mitterrand all’Eliseo, i suoi eredi del Partito Socialista erano addirittura esclusi dal secondo turno.
di Elisabetta Locatelli
pagine: 9
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La fotografia ufficiale di Barack Obama, 44° Presidente degli Stati Uniti d’America, è stata scattata con una fotocamera digitale e rilasciata sotto licenza Creative Commons. Lo scatto di Pete Souza può così essere oggetto di appropriazione da parte degli utenti che possono scaricarla, rielaborarla e ridistribuirla a patto che indichino sempre l’autore dell’opera originale e diffondano i lavori derivati con la medesima licenza. La stessa policy di non scegliere il tradizionale diritto d’autore ma le più recenti licenze Creative Commons è stata applicata anche ai contenuti di Organizing for America, di change.gove del nuovo sito della Casa Bianca. Questa scelta ha una notevole importanza perché segna la comprensione e l’adesione da parte di Obama e del suo staff alla logica aperta e partecipativa della rete, senza avere timore che i contenuti ufficiali possano passare letteralmente tra le mani dei suoi cittadini, essere manipolati, ridistribuiti anche in modo provocatorio e polemico.
di Marica Spalletta
pagine: 14
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La comunicazione politica vive, oggi più che mai, di immagini. È una comunicazione che tende a privilegiare i codici visivi rispetto a quelli verbali perché di impatto più immediato, più facilmente comprensibili dal pubblico, più efficaci quanto alla capacità di suscitare nel pubblico stesso l’effetto sperato. Sia esso un effetto di informazione, di persuasione o di propaganda. Quanto ai codici verbali, che comunque continuano a essere presenti, essi rispondono alle esigenze di una nuova forma di retorica che, ancora una vota, nella cultura visuale trova il proprio fondamento. L’immagine è dunque lo strumento privilegiato attraverso cui la politica e i suoi protagonisti raggiungono il pubblico, dialogano con gli elettori, si fanno conoscere come persone e per le idee che rappresentano. La politica sembra quindi rinverdire il vecchio adagio in ragione del quale «vedere è sapere». Oltre che sul versante della comunicazione politica, l’uso dell’immagine si sta facendo sempre più strategico anche sul fronte dell’informazione politica, tanto quella mainstream quanto quella, oggi altrettanto rilevante, che si alimenta grazie al citizen journalism e a tutte le altre forme di partecipazione che nascono e si sviluppano sul web. Tuttavia, l’uso dell’immagine in politica non si sottrae ai rischi che dell’immagine stessa sono congeniti e che hanno a che fare con la – a sua volta – congenita capacità dell’immagine di mentire: perché ciascun osservatore vede nell’immagine ciò che la sua sensibilità gli suggerisce; perché nell’immagine c’è, sempre e comunque, l’impronta di colui che l’ha scattata; perché, come scrive Corrado Ricci a proposito della fotografia (ma con un ragionamento estensibile a tutta la galassia del visivo), essa «sorprende un attimo isolato che manca del suo precedente e del suo susseguente, ossia di quello che determina il gesto e di quello che lo risolve».
PARTE 2. RAPPRESENTAZIONI
di Daniele Milesi, Sara Sampietro
pagine: 9
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Nell’attuale ambiente convergente, caratterizzato da contenuti liquidi, polifunzionali, applicabili a una varietà di contesti strategici, produttivi e di consumo il concetto di brand risulta centrale, perché in grado di rafforzare il processo di fidelizzazione spettatoriale, offrendosi come punto di riferimento a cui ancorare le molteplici dinamiche di consumo: la distribuzione strettamente coordinata di un contenuto di marca attraverso vari formati e canali rappresenta un tentativo di riconquistare le più sfuggenti economie di scopo. Si tratta di una politica che non si basa più su un medium di massa, quanto piuttosto sulle lusinghe della fedeltà di marca. In questo quadro le opportunità di “disseminazione” del brand su molteplici piattaforme e differenti frame comunicativi «si avvantaggia sia delle opportunità della promozione incrociata, sia di una più precisa capacità di rivolgersi a pubblici fedeli, ovvero brand loyals , altamente targettizzati». Il processo di valorizzazione del brand si declina, solitamente, entro un duplice campo di applicazione: da un lato può legarsi al singolo prodotto; dall’altro può essere attivato in relazione al contenitore (la rete o l’editore).
di Marco Muscolino
pagine: 8
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Al momento dell’uscita italiana di Le Promeneur du Champ de Mars (Robert Guédiguian, 2004; Le passeggiate al Campo di Marte), Dario Zonta, sulle pagine del quotidiano «l’Unità», conclude così il suo pezzo dedicato al film: «Fare in Francia un film su Mitterrand è difficile quanto farne uno su Craxi in Italia. Loro ci hanno provato, ma chi sarebbe il nostro Guédiguian?». A distanza di poco tempo, Paolo Sorrentino si presenta al pubblico internazionale come “il nostro Guédiguian” portando a Cannes Il Divo. La spettacolare vita di Giulio Andreotti (2008). Il regista italiano sembra rispondere al critico rilanciando ancor più la sfida: realizzare non un film su Bettino Craxi, ma su Giulio Andreotti, protagonista se possibile ancor più controverso della scena politica italiana degli ultimi decenni. Il cinema europeo si confronta così con la storia contemporanea, mettendo in scena due protagonisti assoluti della politica internazionale del Novecento: da una parte François Mitterrand (1916-1996), la figura presidenziale più longeva della Quinta Repubblica francese; dall'altra Giulio Andreotti (1919-), “eterno candidato” durante tutta la cosiddetta Prima Repubblica italiana. Entrambi i film concentrano la loro attenzione su un “grande uomo”, recuperando un tema caro alla tradizione storiografica legata al racconto delle “grandi gesta” e dei “grandi avvenimenti”.
di Raffaele Chiarulli
pagine: 11
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Una disamina del rapporto tra cinema e politica non può fare a meno della nozione di immaginario, soprattutto se punta la sua attenzione sulla figura di un candidato, quindi sull’immagine che un uomo pubblico proietta di sé per via del suo impegno politico (immagine che necessariamente tende a incorporare le aspettative della collettività che il candidato stesso si propone di incarnare e rappresentare) e su quella che il cinema, alla luce di quell’impegno, restituisce sottoforma di processo simbolico. La nostra analisi verterà sulla figura di candidato di Robert Francis Kennedy, così come l’immaginario americano, cinematografico ma anche giornalistico, lo dà e lo riceve. “Immaginario” è qui da intendersi come «stato in cui ci mettiamo quando fruiamo un’immagine (e dunque come dinamica attivata da ogni rappresentazione)»e, muovendo da una premessa di tipo socio psicologico, vediamo nel cinema (che interverrà nella nostra analisi non tanto come industria dell’intrattenimento, opera d’arte o pratica di consumo quanto nella sua accezione originaria di “immagine in movimento”) «un sistema che tende ad integrare lo spettatore nel flusso del film [e] un sistema che tende ad integrare il flusso del film nel flusso psichico dello spettatore». Tornano utili a questo proposito, e in ragione di questi scambi, alcuni spunti provenienti dalla prospettiva cognitivista che, nella teoria del cinema, si concentra «sulle emozioni di finzione, sull’intreccio delle determinanti cognitive e di quelle emotive nella comprensione del racconto filmico, sull’empatia e la simpatia verso il personaggio», dinamiche riassumibili nella nozione di coinvolgimento. Non è inutile precisare – parlando di simpatia verso il personaggio – che, sia pure minima, nel racconto realistico del cinema politico la componente di fiction diventa essenziale se guardata attraverso la lente di una mitopoietica moderna: se una qualunque campagna elettorale di un qualunque uomo politico stimola – o mira a stimolare – la partecipazione affettiva dell’elettore, la rappresentazione data dal cinema della figura di Robert Kennedy si inserisce in una più complessa dinamica che, come vedremo, riguarda proprio una nuova mitografia (fatta, oltre che di sogni di incubi ed oltre che di eroi di catastrofi) comune a tutta una collettività.
di Luca Barra, Cecilia Penati
pagine: 12
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Il rapporto tra televisione e politica è uno dei punti caldi della riflessione contemporanea sui media, che ha trovato nella campagna elettorale – e nelle figure di candidato – un momento di “svelamento” del forte legame tra processo democratico e dinamiche comunicative. Negli anni, però, la riflessione accademica si è concentrata prevalentemente su un aspetto: la rappresentazione della “realtà” politica a opera del medium televisivo, analizzato solo in quella che Jost chiama promessa autentificante. In quest’ottica, la tv è lo spazio dei telegiornali, delle tribune politiche, delle inchieste, dei talk show: sono presi in considerazione soltanto i programmi a carattere informativo, quelli in cui viene messo in scena il reale processo politico di ogni Paese. Resta così in ombra un altro grande regime di possibile visibilità della politica (e delle figure che ne fanno parte), che nell’ultimo decennio, soprattutto negli Stati Uniti, ha riservato ampio spazio a campagne elettorali e candidati finzionali, spesso ricalcati su analoghi reali: la lunga serialità. Si è infatti innescato un processo – che cercheremo di spiegare in questo breve saggio – di progressiva “popolarizzazione” dei meccanismi coinvolti nel processo di selezione politica, che passa attraverso la creazione di personaggi-candidati e personaggi-politici a tutto tondo, l’utilizzo di precise marche di genere e la selezione di temi come la campagna e lo scandalo quali fattori di sviluppo narrativo. Le riflessioni classiche sul legame tra tv e politica si possono applicare produttivamente anche alla politica immaginaria delle serie, evidenziando alcuni processi di lungo corso che in anni recenti hanno finalmente trovato sbocco nelle forme più compiute della fiction televisiva.
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