L’indagine in ambito cinematografico, anche in Italia, ha sofferto di un’endemica carenza di attenzione nei confronti delle forme sonore, fatto salvo, come ha più volte sostenuto Michel Chion, un interesse per la parola, spesso da attribuire alla sua componente letteraria.
Le ragioni di questa trascuratezza sono diverse, dalla mancanza di strumenti e di competenze disciplinari specifiche – ritenute appannaggio dei soli musicologi – alla natura funzionale dell’impiego di rumori e musica nei film, dalla presunta irrilevante qualità estetica di molti prodotti di consumo incentrati sulla popular music fino alla difficile reperibilità di fonti utili a ricostruire i processi di produzione e di ricezione del sonoro nel cinema e nella televisione. Tuttavia, ci pare di poter affermare che mai come negli ultimi anni si sia assistito a un processo di messa a fuoco delle componenti audiovisive del mezzo cinematografico, favorito da una cospicua attività di ricerca internazionale, come pure da occasioni di dialogo e di confronto tra ricercatori provenienti da discipline diverse. Per questo motivo ci sono parsi maturi i tempi per provare a ricostruire, in un’ottica integrata e stratificata, il rapporto tra il cinema del nostro Paese e le forme di esperienza sonora della modernità.
Scopo di questo saggio è quello di definire il rapporto tra cinema e musica in Italia nei suoi aspetti legati specificamente alla riproduzione del sonoro, a partire dalla ricostruzione dell’assetto base della nostra industria cinematografica nell’immediato dopoguerra, dapprima sulla base del modello dell’alta fedeltà, successivamente attraverso il lancio della stereofonia in sala nel 1953 e infine con la diffusione di quest’ultima tecnologia, alla fine del decennio, nelle case e negli spazi pubblici dedicati all’intrattenimento. Si vedrà allora come nel settore della riproduzione sonora il cinema abbia conosciuto forme moderne di organizzazione, legate non semplicemente alla vecchia impresa familiare, o a figure autoreferenziali come i grandi produttori di Cinecittà; e come, dal punto di vista dei consumi, il lancio della stereofonia abbia spostato l’interesse dell’utente dalla tecnologia e dal contenuto sonoro al proprio spazio di vita, facendo emergere comportamenti di consumo ancora molto differenziati socialmente ma che assieme – è un momento di forti contraddizioni – iniziano a definirsi come stili esperienziali.
The purpose of this paper is to define the relationship between cinema and music in Italy, in its aspects specifically related to the reproduction of sound, starting from the reconstruction of the basic structure of our film industry in the immediate Postwar period, initially based on the high-fidelity model; then through the launch of the stereo sound in the cinemas in 1953; and, finally, to the spreading of this new technology, at the end of the decade, in the homes and public spaces dedicated to entertainment. We will see, then, how in the field of sound reproduction, cinema knew modern forms of organization, not simply related to the old family business, or to self-referential figures such as the big producers of Cinecittà; and how, in terms of consumption, the launch of stereo has shifted the interest of the user from the technology and sound content to his living space, bringing out consumption patterns still very different socially, but that together – in a time of strong contradictions – begin to define themselves as experiential styles.
Nel cinema di Antonioni la musica si pone come presenza di grande interesse, a partire dai documentari fino a giungere agli ultimi film. È però una «musica realistica», come la definirà significativamente lo stesso regista, che utilizza i rumori e le sonorità elettroniche, lontana dagli stereotipi che allora imperversavano nel cinema italiano. Antonioni, pertanto, non nega l’importanza della colonna sonora ma piuttosto ne ripensa le funzioni e lo statuto. L’evidenza di alcune scelte, come i rumori, la manipolazione sonora e la musica diegetica, solitamente additate come la cifra stilistica maggiormente evidente della sua poetica, non deve comunque far passare inosservata la presenza della musica di commento. Una presenza singolare e originale, per cui egli si serve di molti compositori, a partire da Giovanni Fusco per giungere ai Pink Floyd. In queste pagine verrà così preso in esame il paesaggio sonoro del cinema antonioniano da Cronaca di un amore fino all’Eclisse, al cui interno le sperimentazioni del regista ferrarese si fanno sentire con le caratteristiche dell’evidenza.
In Antonioni’s cinema, music stands as a presence of great interest, from the documentaries to the latest movies. However, it is a «realistic music», as the director himself significantly defined it. In fact, he used the noises and electronic sounds in a way that was far from the stereotypes that raged in the Italian cinema of the period. Antonioni, therefore, does not deny the importance of the soundtrack, but rethinks its functions and status. However, the evidence of some choices, such as noises, sound manipulation and diegetic music, usually singled out as the most obvious style of his poetry, should not pass the presence of the musical comment unnoticed. It is a unique and original presence, for which he used many composers, from Giovanni Fusco to the Pink Floyd. This essay will now consider the soundscape of Antonioni’s films from Cronaca di un amore to Eclisse, in which the director’s experimentation is most evident.
Tra il 1954 e il 1957, nelle prime tre stagioni di trasmissioni regolari, la RAI mandò in onda quasi un’opera al mese, in diretta dagli studi di Milano. Poi le produzioni in studio divennero progressivamente più saltuarie, fino quasi a scomparire dopo il 1960. Nonostante un parziale ritorno d’interesse tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, l’opera non ritrovò mai più la posizione preminente che aveva avuto agli inizi della televisione italiana. Le produzioni in studio degli anni Cinquanta si configurano quindi come il momento forte dell’opera in televisione, e come tale hanno ricevuto l’attenzione di alcuni storici e critici del mezzo televisivo, mentre la musicologia le ha invece finora quasi ignorate. L’articolo si propone di osservare il fenomeno con gli occhi dello storico del melodramma, investigando le conseguenze dell’incontro tra opera e televisione sull’opera stessa, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra musica e immagine.
Between 1954 and 1957, in the first three seasons of regular broadcasting, RAI aired almost one opera a month, live from Milan television studios. Then these studio productions became progressively rarer, almost disappearing after 1960. Despite a partial revival of interest between the mid-seventies and early eighties, opera never regained the leading position that it had enjoyed in the early days of the Italian television. The studio productions of the fifties, therefore, represent the high point of opera on television in Italy, and as such have received some attention from television historians and critics, while musicologists have almost completely ignored them. In this article I consider these broadcasts from the point of view of the opera historian, investigating the impact of the encounter between opera and television on opera itself, and focusing especially on the relationship between music and image.
La figura del cantante nei film permette di cogliere non solo immagini e stereotipi legati alla popular music, ma anche i processi di costruzione e ricezione di specifiche identità ‘audiovisive’. Il saggio esplora in particolare la figura di Mario Lanza, cantante italoamericano che riscuote grande successo sullo schermo, prima in America e poi in Italia. L’analisi documenta, attraverso il caso di studio, come negli anni Cinquanta si verifichino importanti processi di transizione identitaria sia nel repertorio (da quello lirico, già ‘mediatizzato’ a quello popular e melodico, con l’integrazione di nuovi ritmi) che nella costruzione dell’etnicità (dal tenore italiano al crooner italoamericano).
The figure of the singer in the film allows us to capture not only images and stereotypes in popular music, but also the processes of construction and reception of specific ‘audiovisual’ identity. In particular, the essay explores the figure of Mario Lanza, Italian-American singer who enjoyed a great success on the screen, first in America and then in Italy. The analysis documents, through a case study, how in the fifties major identity transition processes occur both in the repertoire (from the opera, already broadcasted by the media, to the popular and melodic genre, with the integration of new rhythms) and in the construction of ethnicity (from the Italian tenor to the Italian-American crooner).
Il mondo dello spettacolo italiano del dopoguerra registra uno straordinario cambiamento negli assetti produttivi e ricettivi, che ha al centro l’innovazione canoro-musicale. Tale rivoluzione, tuttavia, porta simultaneamente a profonde modificazioni nell’iconografia e nello scenario visivo che in alcuni casi danno luogo a manifestazioni e forme dello spettacolo pionieristicamente crossmediali. Domenico Modugno ben riflette questa volontà deliberata di cavalcare la rivoluzione mediale del periodo, dando vita a un’icona sonoro-visiva, una nuova maschera ambivalente e complessa, che sa distillare tratti arcaici e spunti moderni, riesce a conciliare urlatori e stornellatori e sa trasmigrare tra i diversi media. Il celebre epiteto di ‘cantattore’, così spesso abusato per questo interprete, non si limita dunque a quella voglia di interpretare e vivere le canzoni che non è certo isolata nel dopoguerra, ma rimanda piuttosto a quell’icona musicale e visiva figlia dell’industria culturale degli anni Sessanta: uno scaramuccia chitarra in spalla che Modugno costruisce per tutta la sua carriera, dal repertorio siciliano, passando attraverso le canzoni, le trasmissioni radiofoniche, il cinema e il teatro, fragile ponte tra nuovo e antico già pronto a cedere il passo alle inquietudini del nuovo decennio.
The world of Italian post-war show-business records a dramatic shift in the organization of production and public, and has as its center the vocal and musical innovation. This revolution, however, leads simultaneously to profound changes in the iconography and visual scenario that in some cases gives rise to cross-media forms of entertainment events that are also pioneers. Domenico Modugno well reflects this deliberate attempt to ride the medial revolution of the period. He gave life to a sound-visual icon, a new ambivalent and complex form, which knows how to distill archaic features and modern ideas, reconcile screamers and stornello singers and knows how to transmigrate between the different media. The famous epithet ‘cantattore’ (singer-actor) so often abused for this interpreter, is therefore not confined to the desire of interpreting and living the songs that was not isolated after the war, but it rather refers to that musical and visual icon, generated by the cultural industry of the sixties: the easy-going figure with a guitar on his shoulder that Modugno builds throughout his career, from the repertoire of Sicily, through the songs, the radio broadcastings, cinema and theater, a fragile bridge between the new and the old, ready to give way to the anxieties of the new decade.
Il riconoscimento sociale della ‘gioventù’, in quanto categoria anagrafica dotata di proprie caratteristiche rispetto all’età infantile e a quella adulta, ha luogo in Italia a partire dagli anni Cinquanta. I nuovi soggetti intessono un rapporto strettissimo con i prodotti mediali, in particolar modo con quelli legati all’industria discografica, facendone canali di espressione identitaria. Il saggio analizza tale fenomeno raccontando i cambiamenti in seno alla gioventù italiana attraverso le tecnologie sonore che, di volta in volta, ne hanno tradotto bisogni e aspettative. Da oggetti sconosciuti e ‘demoniaci’ a prodotti incorporati e accettati socialmente, lo studio dell’apparizione delle nuove tecnologie sonore (e degli stili di vita di cui queste si fanno portavoce) permette di misurare la forza degli attori sociali in campo e il ruolo giocato dai media.
The social recognition of ‘youth’, as a category with its own characteristics with respect to childhood and adulthood, takes place in Italy since the fifties. These new subjects weave a close relationship with the media products, especially those connected with the recording industry, making them channels of expression and identity. The essay analyzes this phenomenon, describing the changes within the Italian youth through sound technologies which, in turn, have translated their needs and expectations. From unknown and ‘demonic’ objects to incorporated and socially accepted products, the study of the emergence of new sound technologies (and ways of life of which they become the mouthpiece) allows measuring the strength of the social actors and the role played by the media.
Il ‘musicarello’ è un sottogenere di grande successo popolare attivo tra la fine degli anni Cinquanta e gli ultimi anni Sessanta. Il filone assolve primariamente la funzione di mostrare i cantanti più in voga e far sentire le hit musicali del momento a un pubblico essenzialmente di provincia che già conosce le canzoni e i divi attraverso la radio e la televisione e vuole riconoscerli anche sul grande schermo. Il successo del musicarello coincide infatti con la nascita di nuovi stili musicali, dello slang giovanile e delle mode legate al boom economico. Ma soprattutto, il musicarello è lo schermo attraverso il quale viene raccontata la novità linguistica del medium televisivo, la sua diffusione e le pratiche legate al suo consumo. Tramite la tv, infatti, la canzone, fino ad allora ascoltata prevalentemente alla radio, viene associata a un volto e giunge fino agli interni domestici della più remota cascina di provincia. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, proprio la capacità congenita del musicarello di porsi come modello intermediale – luogo di confluenza di televisione e media sonori, degli immaginari della provincia preindustriale italiana e delle sirene della modernità – privo di rigidi codici di genere lo porterà a perdere progressivamente la sua funzione di sintesi e a ridursi a semplice contenitore delle immagini e degli immaginari più diffusi al tempo.
‘Musicarello’ is a subgenre of great popular success that was active between the late fifties and late sixties. The genre serves primarily the function to present the most popular singers to the public, and launch the musical hits of the moment to the audience mainly from the provinces that already knows the songs and stars through radio and television and wants to recognize them on the big screen. The success of Musicarello coincides with the birth of new musical styles, youth slang and fashion related to the economic boom. But above all, Musicarello is the screen through which the language of the new television medium is told, in its consumption-related diffusion and practices. Using television, in fact, the song, until then mostly listened to on the radio, can be matched to a face and reaches to the most remote province home farms. From the second half of the sixties, the congenital ability of Musicarello to act as inter-media model – a place of confluence of television and sound media, imagination of early modern Italian province and sirens of modernity – without rigid gender codes, will gradually bring it to the loss of its synthesis function and reduce it to a simple container of popular images and imaginary time.
Il saggio analizza la figura della cantante Rita Pavone, colta come esempio di uno dei corpi ‘mutanti’ della nuova generazione che si afferma nel panorama musicale italiano a partire dagli anni Sessanta. Sarà presa in considerazione in primo luogo la strategia crossmediale di costruzione del personaggio attraverso programmi televisivi, film, performance canore e il circuito di discorsi sociali promosso dalle riviste. In secondo luogo ci soffermeremo sull’ampia polisemia che veicola questo specifico caso, in particolare in riferimento alle dicotomie giovinezza/maturità, italianità/americanità e femminilità/mascolinità, per mettere in relazione i temi del sonoro alla nuova figura dell’adolescente, alle specificità culturali veicolate da canzoni e ritmi musicali e infine al gender.
The paper analyzes the figure of the singer Rita Pavone, taken as an example of one of the ‘mutant’ bodies of the new generation that established themselves on the Italian music scene since the sixties. In the first instance, we will consider the cross-media strategy of building the character through television programs, films, singing performances and the social circuit promoted by the magazines. Secondly, we will focus on the large polysemy that carries this specific case, particularly in reference to the dichotomies youth/maturity, Italian/American and femininity/masculinity, in order to relate the themes of sound to the new figure of the adolescent, the cultural specificities conveyed by the songs, the musical rhythms, and finally to gender.
Il periodo a cavallo tra i decenni degli anni Cinquanta e Sessanta apporta profondi cambiamenti al paesaggio sonoro del Paese. Tra le molte figure che nel cinema italiano del tempo si interessano a questo fenomeno un ruolo di riguardo spetta ad Antonio Pietrangeli, il quale peraltro elabora già nel 1961 la realizzazione del film Il giradischi che, per non note vicende produttive, vedrà la luce solo nel 1965 con il mutato titolo di Io la conoscevo bene. Tale pellicola rappresenta probabilmente, all’interno del cinema italiano coevo, il migliore esempio di costruzione di senso ed affetti tramite il ricorso all’universo musicale, in virtù della specifica importanza che la popular music ivi assolve. A tale processo si accompagna una significativa riflessione attorno agli inediti modelli di utilizzo dei prodotti mediali sonori, i quali anzitutto rappresentano uno specchio di un nuovo stile di vita, improntato al consumismo, che sta radicalmente cambiando il volto dell’Italia.
The period between the decades of the fifties and sixties brings profound changes to the soundscape of the Country. Among the many figures in the Italian cinema of the time are interested in a role of this phenomenon Antonio Pietrangeli has a leading role. In fact, he also starts in 1961 the making of the film Il giradischi (The turntable) that, for unknown production events, will only see the light in 1965, with its title changed in Io la conoscevo bene (I knew her well). This film is probably, within the contemporary Italian cinema, the best example of building of sense and affection through the use of the music universe, by virtue of the particular importance that the popular music has in it. In this process, accompanied by a significant reflection on the new models of use of the sound media products, which are primarily a reflection of a new lifestyle, characterized by consumerism, which is radically changing the character of Italy.
Questo articolo studia il rapporto tra sperimentazione musicale e cinema d’autore, così come si configura in un numero significativo di pellicole italiane prodotte negli anni Sessanta. Esso si struttura in tre parti, la prima di carattere metodologico e teorico, le restanti di carattere monografico, dedicate a Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni (1964) e Il seme dell’uomo di Marco Ferreri (1969), che vedono impiegate rispettivamente composizioni preesistenti di Vittorio Gelmetti e Richard Teitelbaum. Mettono in luce le peculiarità del rapporto tra cinema d’autore e musica sperimentale, rispetto alle codificate modalità d’impiego della musica post-tonale nel cinema narrativo di ascendenza hollywoodiana, e propongono un modello analitico in cui i linguaggi e le poetiche della sperimentazione musicale diventano strumento d’indagine ermeneutica dell’estetica dei cineasti che le accolgono nei propri film.
This article studies the relationship between musical experimentation and auteur cinema, as it is configured in a remarkable number of Italian films of the 1960s. It is structured in three parts: the first part concentrates on theoretical and methodological issues, the remaining parts focus on The Red Desert by Michelangelo Antonioni (1964) and The Seed of Man by Marco Ferreri (1969), using pre-existing compositions respectively by Vittorio Gelmetti and Richard Teitelbaum. I outline the peculiarity of the relationship between auteur cinema and experimental music, with respect of the codified modalities of the use of post-tonal music in the Hollywood narrative cinema. I propose a model of analysis according to which languages and poetics of experimental music become tools for a hermeneutic insight of the filmmakers’ aesthetics.
Nel cinema italiano d’autore del secondo dopoguerra non è infrequente rintracciare dei riferimenti all’opera in musica del XIX secolo, e in particolare alle opere di Giuseppe Verdi. Tali riferimenti possono spaziare dalla citazione di musica d’opera nella colonna sonora del film alla rappresentazione cinematografica di recite teatrali di melodramma. Tutt’altro che incidentale, la loro presenza influisce in modo talvolta determinante sia sulla costruzione audiovisiva che sul suo profilo tematico del film. In questo articolo saranno presi in esame due film giovanili di Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione e Strategia del ragno, nei quali il contatto con il melodramma verdiano è particolarmente marcato. L’analisi mostrerà come e con quale ricchezza di connessioni i materiali operistici partecipino all’elaborazione di forme audiovisive nelle quali si imprime un discorso politico sui temi della storia e dell’identità nazionale italiana.
In the Italian authorial films of post World War II, it is not uncommon to find references to nineteenth century opera, and in particular to the operas of Giuseppe Verdi. These references can change from the quotation of opera music in the film’s soundtrack to cinematic representations of operatic performances: Far from being incidental, this presence can be a decisive influence both on the formal and thematic profile of film. In this paper, I will review two films by a young Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione (Before the Revolution) and Strategia del ragno (The Spyder’s Stratagem), in which contact with Verdi’s opera is particularly marked. The analysis will show how operatic elements in film were used to convey political views on the history and national identity of Italy.
Il saggio muove dall’analisi della rubrica Saluti da casa, appuntamento dedicato ai lavoratori italiani emigrati in Svizzera, all’interno del programma Un’ora per voi, coprodotto dalla Società svizzera di radiotelevisione e dalla Radiotelevisione italiana a partire dal 1964. Tale corrispondenza audiovisiva tra parenti lontani, sebbene realizzata esclusivamente nei luoghi d’origine, esplicita alcune funzioni simboliche e sociali al tempo stesso, assolte dal mezzo televisivo in quegli anni: da un lato, per l’allora modello pedagogico della RAI, si palesa la sfidante discrasia fra lingua nazionale e dialetti; dall’altro, la connessione mediatica tra familiari ed emigrati punta a far slittare i modelli di comunicazione privata alla sfera pubblica. Il trattamento della materia sonora risente pertanto del registro culturale dell’epoca tendente, grazie ai ritrovati tecnologici, a una captazione in sincrono delle tracce vocali, nonché alla costruzione di un formato audiovisivo originale, la ‘video-cartolina’. Da ultimo, l’organizzazione retorica costituisce la base per la coloritura patetico-affettiva dei messaggi, il cui tono vira prevalentemente verso il sentimento nostalgico.
The essay starts from the analysis of the TV program Saluti da casa (Greetings from home), an event dedicated to the Italian immigrant workers in Switzerland, within the program Un’ora per voi (One hour for you), co-produced by the Swiss Broadcasting Corporation and the Italian Radio and Television since 1964. This audiovisual correspondence between distant relatives, though only from distant places, expresses some functions at the same time symbolic and social, absolved by television in those years: on the one hand, RAI’s pedagogical model at that moment experienced the challenging discrepancy between national languages and dialects; on the other, the media connection between families and emigrants aims at shifting the patterns of private communication to the public sphere. The processing of sound matter thus reflects the cultural register of the time tending, thanks to technological improvements, to a collection of vocal tracks in sync, and the building of an original audio-visual format, the ‘video postcard’. Finally, the rhetorical organization is the basis for pathetic-emotional messages, whose tone mainly turns on the nostalgic feeling.