CS, una storia corale
Comunicazioni Sociali è un caso certamente unico nel panorama delle riviste scientifiche sulla comunicazione. Innanzitutto per la sua longevità: sicuramente in Italia, ma credo anche in Europa, non esistono riviste scientifiche di comunicazione che possano vantare cinque decadi di pubblicazione. In secondo luogo CS si distingue per il taglio interdisciplinare, altrettanto è originale nel panorama: sociologia, antropologia, filosofia, estetica, filologia, storia, semiotica, arti performative, cinema, televisione... In terzo luogo CS vive di una prospettiva “integrale”:sin dall'inizio la comunicazione mediale e quella dal vivo sono guardate come due facce dello stesso fenomeno, che si illuminano a vicenda.
La ricchezza del fenomeno comunicativo è quindi esplorata in tutte le sue componenti (verbale, iconica, gestuale, ma anche musicale...) e nel loro intreccio. Così come la ricerca e la riflessione teorica sono compresenti e in dialogo tra loro. C’è un carisma, un motore segreto, un nucleo incandescente in CS. Se la rivista è durata nel tempo è per la cura che tanti le hanno dedicato, a partire dall'editore, i direttori, la redazione, il Dipartimento di Scienze di comunicazione e l'Alta Scuola. La rivista è un “bene comune” e, per usare un'espressione cara al fondatore Mario Apollonio, un'opera corale, basata sulla contribuzione di tanti e orientata a promuovere partecipazione (specie dei giovani) e a farsi luogo di confronto, più che vetrina o mero strumento.
Siamo consci di essere eredi di una grande tradizione. Lo sforzo mio e di tutti è quello di mantenere vivo lo spirito e lo slancio delle origini. Essi ci offrono una prospettiva critica e libera di fronte alle mode del presente. Soprattutto ci impegnano a cercare sempre nella comunicazione il massimo del bene comune e il massimo bene per l’uomo.
Vorrei concludere con una citazione tratta da un saggio di Andrea Vaccaro nel numero 3/2015 Being Humans. The Human Condition in the Age of Techno Humanism, da me curato, che chiude questi primi cinquant’anni di storia. Applicherei alla comunicazione quello che Vaccaro dice della tecnologia in generale, che per principio è e deve essere serva, servizio, e come tale è teologica: La comunicazione «è teologica perché essa è sempre al servizio (serva), rimane a disposizione (dispositivo), si rende per sua natura utile (utensile), è perennemente pronta a offrirsi come mezzo per ogni fine umano». La comunicazione «ha natura teologica anche perché permette di esercitare il tratto supereminente dell’essere umano, ovvero la libertà». La comunicazione «espande enormemente il panorama delle azioni e delle scelte. Si eleva anche il livello delle responsabilità, ovviamente, ma libera per essenza e mai sazia di libertà il Creatore ha concepito la sua creatura. Quando si avverte con timor panico che la comunicazione «espone ad “apocalittici” scenari occorrerebbe sempre aggiungere, come contrappeso, che essa apre anche a scenari “genesiaci”, ovvero contribuisce ai venturi cieli e terre nuove”» (pp. 314-315).
Grazie di cuore per aver celebrato insieme a noi questa importante ricorrenza.Direttore CS

La redazione di CS: (da sinistra) Paolo Braga, Roberta Carpani, Nicoletta Vittadini, Chiara Giaccardi, Massimo Scaglioni,
Aurelio Mottola (direttore VP), Adriano D'Aloia, Massimo Locatelli, Laura Peja
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